Sono nato albino. Un bimbo bianco in una famiglia Maasai.
Sono un keniota e ho 44 anni. Sono nato in una comunità conosciuta in tutto il mondo, la comunità Maasai. Sono il sesto di otto figli. Sono nato albino. Un bimbo bianco in una famiglia Maasai.
La mia comunità rispetta molto la vita umana e difende il socialismo: la collettività è alla base delle nostre attività. La maggior parte delle cose - la proprietà, i bambini, le ricchezze - è considerata proprietà e responsabilità della comunità. Tuttavia, questa comunità considera le persone con disabilità come cattivi presagi per la comunità stessa. A volte, un bambino disabile viene denominato “oloibe Enkai”, “odiato da Dio”.
La tradizione Maasai consente ad un padre di ripudiare un figlio, se ritiene che non sia il suo figlio biologico. In passato, se un padre dubitava della paternità di un bambino, poneva, secondo la tradizione, il bambino davanti al cancello del recinto, dove venivano tenute le mucche. Quando le mucche venivano spinte fuori dal recinto, da quel cancello, si credeva che se il bambino fosse stato suo, le mucche avrebbero evitato di calpestarlo; se, invece, il bambino non fosse stato suo, le mucche lo avrebbero calpestato, sì da ucciderlo all'istante. Sempre secondo la tradizione, quando una donna Maasai dava alla luce un bambino albino, il bambino veniva privato del latte materno e sottoposto a condizioni durissime, perché morisse prima che il marito se ne accorgesse.
Per ragioni che non conosco, mi sono stati risparmiati questi due destini.
La mia nascita è stata traumatizzante per tutta la mia famiglia.
E’ stato difficile per mia madre convincere mio padre che io ero veramente suo figlio. C’è stata da parte sua una forte resistenza, ma alla fine mi ha accettato.
E’ stato difficile convincere il resto della comunità che mia madre non aveva avuto una relazione con il prete locale, che era un uomo bianco.
E’ stato difficile convincere la mia comunità che IO ero UNO DI LORO.
Durante la mia infanzia, i miei genitori non sapevano come aver cura della mia pelle, così delicata. Ho avuto molti problemi, dovuti soprattutto alle scottature e all’ipovisione. Non c’erano operatori socio-sanitari che sapessero cosa fare con un bambino albino. Non c’erano educatori specializzati in grado di fornire un’assistenza adeguata.
Tali figure sociali non sono ancora presenti nella mia comunità.
Come tutti i ragazzini, avevo bisogno di “mescolarmi” agli altri e socializzare, giocare con i miei coetanei. Non è stato facile, perché, spesso, gli altri ragazzi mi prendevano in giro. Si aspettavano che io piangessi. Alcuni non mi toccavano per paura di essere 'infettati' dalla mia disabilità.
Non so quante volte ho cercato la solitudine!
E, sono rimasto solo!... perché non volevo essere chiamato “uomo bianco”. Questo è ironico, vero? Di solito, quando le persone, che vivono nei paesi in via di sviluppo, sono associate con la civiltà occidentale, si sentono lusingate. Nel mio caso, ogni volta che venivano menzionati i termini “uomo bianco o 'Mzungu', venivano richiamati alla mente tutti i miei problemi. Quando andavo nei villaggi, in particolare nuovi luoghi lontano da casa, i bambini piccoli gridavano contro di me, a gran voce. Avrei voluto farli tacere. Avrei voluto scomparire rapidamente dalla loro vista, ma la mia scomparsa da loro mi avrebbe portato, prima o poi, al cospetto di altri. Essi mi trattavano come trattavano i turisti provenienti dai paesi europei, allo scopo di ottenere piccoli regali, come caramelle e giocattoli. Quando si rendevano conto che ero solo un africano di pelle bianca, si mettevano a ridere e mi insultavano.
Vorrei ringraziare Dio per l'intelligenza che mi ha donato. La capacità di afferrare i concetti mi è stata di grande aiuto a scuola. Ero in una classe di bambini”normali”. Nel tentativo di nascondere la mia disabilità, fingevo di riuscire a leggere ciò che c’era scritto alla lavagna e fingevo di seguire quello che l'insegnante diceva . C’è voluto molto tempo, prima che i miei insegnanti si rendessero conto che avevo un problema alla vista. In Kenya, a quel tempo, era consentito picchiare i bambini. I miei insegnanti continuavano a picchiarmi, pensando che così facendo mi avrebbero fatto copiare gli appunti o seguire quello che dicevano. Ho sopportato le percosse. Non avevo il coraggio di dire qual’era il mio problema, perché temevo che i miei amici ridessero di me.
Ho sofferto molto per gravi scottature solari. Non sapevo ci fossero creme di protezione solare. Ne sono venuto a conoscenza solo più tardi.
Le creme solari sono molto costose. Una persona comune in Kenya non se le può permettere.
I problemi maggiori sono venuti durante l’ adolescenza, quando “si fa sentire” la necessità di relazionarsi con l’altro sesso. Il desiderio di amore e di intimità, connessi alla paura dell’accettazione. Pensavo che nessuno mi avrebbe mai amato, perché il mondo intero sembrava molto ostile nei miei riguardi. Questo problema l’ho superato, alla grande! Ho incontrato una donna molto gentile e amorevole che ha riversato su di me tutto il suo amore, nonostante la mia disabilità. Insieme, abbiamo costruito una famiglia: abbiamo tre figli . Il nostro rapporto è sereno.
(da "In my genes" di Lupita Nyong'o)
La mia esperienza di vita ha fatto nascere in me il desiderio di essere utile ai bambini con esigenze speciali, con l’ obiettivo di aiutare quelli che condividono il mio problema e gli insegnanti ad essere sensibili alle esigenze dei loro studenti.
Attualmente lavoro presso l'ufficio istruzione del dipartimento dei bisogni educativi speciali. Ci sono molte sfide da superare: l’ ignoranza da parte dei fornitori dei servizi, la mancanza di politiche di governo su questioni legate ai bisogni educativi speciali, il livello di povertà tra le comunità del Kenya, le pratiche e le credenze tradizionali.
Ho dato inizio ad un progetto: sollecitare la fornitura di creme solari per i bambini con albinismo. E’ la sfida più grande della mia vita!
Ho bisogno di aiuto perché il nostro futuro sia luminoso.Alex Munyere
AFEA trustee
ASK chairman